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L’allenamento interiore

“L’insegnamento delle tecniche e l’allenamento ad usarle in modo indipendente il più possibile e al più presto è un principio fondamentale della Psicosintesi.” Assagioli, 1973, p. 140

Ma cosa si intende in Psicosintesi quando parla di allenamento interiore? Ci si riferisce sostanzialmente a quella pratica costante che, sola, consente un progressivo ed effettivo approfondirsi delle esperienze che formano il nucleo centrale del percorso psicosintetico: la disidentificazione, l’io personale, la volontà, il modello ideale, la sintesi, il supercosciente e il Sé transpersonale.

Assagioli stesso scrive (Assagioli, 1974): “Allenarsi alla pratica della Psicosintesi significa imparare a conoscerla e a sperimentarla su noi stessi (…). Il conoscerla intellettualmente non è sufficiente”.

Considera quindi di fondamentale importanza la dimensione esperienziale che può essere coltivata attraverso l’applicazione costante, umile e paziente delle diverse tecniche psicosintetiche. Assagioli é fermamente convinto che non si possa mai parlare di fine dell’allenamento, ma solo di tappe temporanee successive, di un processo graduale che consente di accedere a gradi di comprensione sempre più profondi. A ciascuna delle esperienze sopra elencate associa, infatti, “diversi livelli di significato, nessuno dei quali ben definito e completo” e solo l’allenamento, come da lui inteso, permette di realizzare questi diversi livelli e di cogliere quegli “aspetti nuovi e più interessanti, che formano un legame tra le varie esperienze”.

D’altronde, in Psicosintesi, non ci si stanca mai di evidenziare il rischio di confondere la quantità con la qualità, la prestazione con l’atteggiamento interno (Macchia, 2000, p. 41). Le caratteristiche che stanno alla base dell’atteggiamento su cui si fonda l’allenamento psicosintetico sono un’apertura a sperimentare ogni tecnica ed esercizio ampiamente, una disponibilità ad approfondire senza riserve i temi fondamentali, la capacità di coltivare le qualità della costanza, della pazienza e dell’umiltà, la consapevolezza della vastità del processo intrapreso, la comprensione intuitiva dello spirito della Psicosintesi e una solida conoscenza tecnica. Perdere di vista queste caratteristiche significherebbe correre il rischio di cadere in un consumismo tecnicistico diametralmente opposto dall’originale proposito psicosintetico.

Scrive con belle parole Marialuisa Macchia:

“L’allenamento psico-spirituale non deve essere automatico, superficiale, distratto, né ansioso, ossessivo, convulso. Non deve essere materialistico e consumistico, o di tipo militaresco, o acrobatico, o catena di montaggio. L’allenamento psico-spirituale non è uno sport di moda, né un’arte marziale, né uno spot pubblicitario. Non é una corsa a chi arriva prima, né una gara a chi produce di più. È una disciplina interiore – un rituale magico – un contatto con il nostro futuro evolutivo – un’affermazione di autonomia spirituale – un entrare nella corrente cosmica. Allenamento è ritmo ed armonia, coerenza e stile, libertà e direzionalità.”

Quindi l’allenamento corrisponde piuttosto a ciò che nella tradizione indiana viene chiamato sadhana, cioè a quell’insieme di pratiche che vengono eseguite con regolarità e concentrazione allo scopo di ottenere la liberazione oppure di raggiungere obiettivi minori ben precisi, come lo sviluppo di qualità che si ritengono importanti per la propria crescita, oppure l’acquisizione di una sufficiente padronanza su una o più tendenze interiori che ostacolano la stessa (ad es. la rabbia, il desiderio sregolato, ecc.).

Per approfondire:

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