Esperienze della Psicosintesi – 2

La disidentificazione – l’osservatore amorevole

Disidentificarsi significa, anzitutto, cominciare a creare uno spazio psichico che permetta a tutti i gli elementi della nostra persona (alle sensazioni, ai desideri, alle emozioni, ai pensieri, alle nostre varie subpersonalità) di essere conosciuti, accolti ed integrati.

Disidentificarsi permette di assumere l’atteggiamento dell’osservatore, di divenire i registi della nostra vita, emancipandoci dalle coazioni e dagli automatismi per scoprire una maggiore libertà di movimento: possiamo finalmente smettere di “cadere” meccanicamente in questo o in quel comportamento, in questa o in quella subpersonalità, per scegliere attivamente quegli atteggiamenti che sono più creativi ed evolutivi per noi in una data situazione.

Tengo molto a sottolineare che il presupposto fondamentale per un’autentica disidentificazione

é la vera conoscenza e l’accettazione di quello da cui ci disidentifichiamo (v. La tecnica dell’accettazione).

Infatti, se utilizziamo questa pratica senza aver sviluppato una sufficiente accettazione di quello che siamo, soprattutto dei nostri limiti e delle nostre difettualità, corriamo il rischio di generare ulteriore scissione, disagio e sofferenza anziché promuovere l’integrazione, la trasformazione e il benessere della nostra persona. Se la disidentificazione ci porta dunque a scoprire un punto di forza e di potere – il nostro io, il nostro centro interiore – non favorisce in alcun modo l’assunzione di una posizione d’onnipotenza.

La disidentificazione non è mai anestesia, indifferenza e nemmeno lotta, giudizio o repressione. Se la pratica della disidentificazione, dovesse generare un atteggiamento giudicante, sensi di colpa e vergogna, oppure ansia e irritazione possiamo star certi che si é attivato piuttosto il nostro giudice interno, una subpersonalità dunque, non l’osservatore, l’io.

La reale esperienza della disidentificazione promuove invece l’apertura, la sensibilità, il movimento; genera la capacità di accogliere e contenere le nostre diverse parti. L’autentica disidentificazione libera, favorisce il nostro sviluppo e promuove un atteggiamento interiore di equanimità, benevolenza, dignità, di umorismo, gioia e serenità. Possiamo rappresentare questa differenza con la seguente tabella (Guggisberg Nocelli, 2011):

Disidentificarsi significa, anzitutto, cominciare a creare uno spazio psichico che permetta a tutti i gli elementi della nostra persona (alle sensazioni, ai desideri, alle emozioni, ai pensieri, alle nostre varie subpersonalità) di essere conosciuti, accolti ed integrati.

Disidentificarsi permette di assumere l’atteggiamento dell’osservatore, di divenire i registi della nostra vita, emancipandoci dalle coazioni e dagli automatismi per scoprire una maggiore libertà di movimento: possiamo finalmente smettere di “cadere” meccanicamente in questo o in quel comportamento, in questa o in quella subpersonalità, per scegliere attivamente quegli atteggiamenti che sono più creativi ed evolutivi per noi in una data situazione.

Tengo molto a sottolineare che il presupposto fondamentale per un’autentica disidentificazione

é la vera conoscenza e l’accettazione di quello da cui ci disidentifichiamo (v. La tecnica dell’accettazione).

Infatti, se utilizziamo questa pratica senza aver sviluppato una sufficiente accettazione di quello che siamo, soprattutto dei nostri limiti e delle nostre difettualità, corriamo il rischio di generare ulteriore scissione, disagio e sofferenza anziché promuovere l’integrazione, la trasformazione e il benessere della nostra persona. Se la disidentificazione ci porta dunque a scoprire un punto di forza e di potere – il nostro io, il nostro centro interiore – non favorisce in alcun modo l’assunzione di una posizione d’onnipotenza.

La disidentificazione non è mai anestesia, indifferenza e nemmeno lotta, giudizio o repressione. Se la pratica della disidentificazione, dovesse generare un atteggiamento giudicante, sensi di colpa e vergogna, oppure ansia e irritazione possiamo star certi che si é attivato piuttosto il nostro giudice interno, una subpersonalità dunque, non l’osservatore, l’io.

La reale esperienza della disidentificazione promuove invece l’apertura, la sensibilità, il movimento; genera la capacità di accogliere e contenere le nostre diverse parti. L’autentica disidentificazione libera, favorisce il nostro sviluppo e promuove un atteggiamento interiore di equanimità, benevolenza, dignità, di umorismo, gioia e serenità. Possiamo rappresentare questa differenza come segue (Guggisberg Nocelli, 2011):

Quando ad osservare è una subpersonalità – Anestesia, indifferenza, scissione dalle emozioni, censura, repressione, irrigidimento, chiusura, blocco, pesantezza, oppressione, dolore, lotta, giudizio, sensi di colpa, vergogna, rifiuto, disprezzo, irritazione, ansia, depressione…

Quando ad osservare è l’io – Apertura, rilassamento, accoglienza, sensibilità, compassione, movimento, contenimento, liberazione, leggerezza, fluidità, sviluppo, benevolenza, dignità, umorismo, cura, equanimità, fiducia, amorevolezza…

Quando ad osservare è una subpersonalità Quando ad osservare è l’io
Anestesia, indifferenza, scissione dalle emozioni, censura, repressione, irrigidimento, chiusura, blocco, pesantezza, oppressione, dolore, lotta, giudizio, sensi di colpa, vergogna, rifiuto, disprezzo, irritazione, ansia, depressione… Apertura, rilassamento, accoglienza, sensibilità, compassione, movimento, contenimento, liberazione, leggerezza, fluidità, sviluppo, benevolenza, dignità, umorismo, cura, equanimità, fiducia, amorevolezza…

Per approfondire:

Share this article